A Fine Giornata

È a fine giornata, dopo tante ore passate ad ascoltare i nostri pazienti, dopo aver cercato soluzioni a problemi grandi e piccoli, dopo esserci sentiti grandi o impotenti a seconda del risultato ottenuto, quando il telefono smette di suonare e ci togliamo il camice che possiamo finalmente lasciare libertà ai nostri pensieri e analizzare le emozioni e le sensazioni che la giornata ci ha portato. Questa pagina periodicamente pubblicherà alcuni dei “pensieri liberati” a fine giornata dai nostri associati perché un Medico di Famiglia deve condividere tante cose con i suoi pazienti, spesso proprio i pensieri.

Leggiamone allora qualcuno assieme:

Ho 55 anni e una paio di patologie croniche. Niente di grave, per carità. Faccio il medico. Il Medico di Famiglia, come diciamo noi, il Medico di Medicina Generale come dicono quelli più fighi fra noi o chi ci vuole fregare, il medico di base come dice chi non sa nulla, al mé dutur come dicono i pazienti che ci vogliono bene e sanno quanta parte siamo della loro vita. Faccio il medico e mi sono ammalato. Niente di grave per ora, ma ho il Coronavirus, che non ho preso dai miei contatti sociali come qualche burocrate d’ufficio ha detto, ma dai miei pazienti. Perché è vero, negli ospedali è un dramma, arrivano a centinaia e non sai più dove metterli. Da noi spesso quello che ti frega invece ha un raffreddore e tu manco te lo aspettavi. Oppure entri in case che talvolta sono loculi e il virus sta ovunque e per quanto tu ti sia protetto è difficile restare “puliti”. Ho visitato diversi pazienti che sospettavo avessero il Coronavirus. Mia sorella è rianimatrice e fosse soltanto per rispetto a lei non avrei potuto tirarmi indietro. Quindi ho visitato. In studio e a domicilio, ed ero più o meno preparato con i dispositivi di protezione che io mi ero procurato, non certo con le poche mascherine che ci ha fornito ATS, peraltro in ritardo di giorni. Dopo quasi un mese ci hanno fornito gli occhiali. E un camice usa e getta. Uno. Io li avevo già. Ero corso ad ordinarli, per poter visitare. Non mi sono tirato indietro e ho fatto la mia parte, con profondo orgoglio perché sentivo il bisogno dei miei pazienti di trovare un áncora in mezzo a tanta confusione, a tanta paura. Non c’era nessun piano in Regione Lombardia. Per due mesi hanno guardato i telegiornali e non hanno fatto nulla. E noi ci siamo ammalati. E alcuni di noi sono morti. Perché il territorio è stato lasciato totalmente sguarnito, privo di indicazioni univoche, privo di supporto e di sistema. Ci sono voluti 15 giorni e non so più quante direttive per cominciare a capire qualcosa. Perché in ospedale è difficile, molto, e faticoso. Ma i casi sono quelli, si presentano e sono abbastanza chiari e tu sei lì con i tuoi dispositivi di protezione che tieni per tutto il turno. Poi ti lavi e vai a casa. Noi no. Perché magari stai vedendo chi riesce a lamentarsi del mal di schiena anche in questo periodo e comincia invece a tossirti in faccia perché si era scordato di dirtelo. E tu non indossi DPI sufficienti, non indossi le tute e i tuoi vestiti si impregnano e porti tutto a casa, da tua moglie e dai tuoi figli che non hanno colpe. Loro non hanno scelto di fare il medico. Sapevano che sposare un medico, essere figli di medico avrebbe significato tanto stress, poco tempo e rapporti frettolosi ma non pensavano nemmeno lontanamente di rischiare la salute. Ma a tutto questo nessuno ha pensato. Anzi, in realtà non hanno pensato a nulla se non a vantarsi per anni della forza di un sistema che è forte, ma non come dovrebbe e che lo è soltanto grazie a chi ci lavora. La sanità lombarda è decente soltanto grazie a noi. Ai medici, agli infermieri, agli ausiliari e a tutto il personale. È decente nonostante gli assessori regionali di turno messi lì senza competenza o merito alcuno che non fosse la contiguità al potere. Questa gente è quella che durante il tempo di pace puoi arrangiarti a “sopportare” ma che in guerra si rivela un fardello decisivo con tutte le proprie incapacità. Ho 55 anni, faccio il medico e ho preso il Coronavirus. E la colpa non è del paziente che me lo ha trasmesso. La colpa è loro. Di nessun altro.

Un Medico di Famiglia, Vigevano

“Oggi per me decorrono vent’anni da medico di medicina generale. Vent’anni fa terminavo il corso di formazione specifica in medicina generale (quello che già al tempo era specialità in tutta Europa mentre da noi ufficialmente non lo è ancora: forse perché toccherebbe troppi interessi di baronie universitarie e/o sindacali?) e iniziavo la mia avventura da medico di famiglia. Un lavoro che, a differenza di molti che vi ci sono capitati, ho scelto sin dalle elementari, subito dopo aver stabilito che non sarei riuscito a diventare astronauta, dal momento che ero cresciuto in mezzo a medici di famiglia e avevo potuto apprezzare da dentro la bellezza che ancora oggi talvolta contraddistingue questo lavoro. E qui andrebbe fatta una parentesi su come in questo paese oggi i sogni di tanti vengano cancellati dall’incapacità del sistema di dare risposte, relegando giovani che avevano sognato di diventare medici ad altri lavori per i quali non hanno mai avuto afflati di passione. Torniamo però alla bellezza di questo lavoro. Lo è già naturalmente, per il solo fatto che fa parte della scienza medica, la più affascinante e sfaccettata e per molti versi ancora tutta da scoprire. Ma lo è poi per le sue peculiarità, che resistono ancora nonostante gli attacchi continui della burocrazia e di gente stracarica di ogni interesse che non sia la salute delle persone: privati, industria, stampa, politica etc.

Bersagliato minuto dopo minuto da telefonate, da correzioni inventate dai mille CUP che parlano lingue diverse, da sistemi informatici che ci costano più tempo di un esame clinico, da richieste incongrue che ci arrivano da ogni dove, il medico di famiglia deve riuscire a mantenere la concentrazione sul paziente e sui quei 5-10 problemi che egli chiede di risolvere contemporaneamente. Oggi infatti è di moda così, perché così non deve tornare troppo spesso. E in mezzo a tanti problemi banali o inventati, magari dalla psiche come autodifesa in un momento di grande crisi per tutta la nostra società, noi dobbiamo cercare di non perdere l’indizio importante, quello che fa la differenza. Naturalmente poi dobbiamo sapere tutto di burocrazia oltre ad essere sempre informati su ogni cosa, per non sentirci in difetto con qualche specialista che da 30 anni ripete sempre gli stessi atti ma si indigna se noi non siamo aggiornatissimi sull’ultimo modello di protesi monocompartimentale o di valvola aortica. Non fossero bastati negli anni i nostri fenomeni, ora arrivano i politici e gli esperti di marketing a dirci cosa dobbiamo fare, dall’alto dei loro studi che con la medicina non hanno nulla a che fare. In mezzo restiamo noi e i pazienti veri, quelli che soffrono e che si fidano di noi, che sanno che non possiamo sapere tutto ma che sanno che noi siamo dalla loro parte. Sanno che non dobbiamo fare budget, che non abbiamo altro interesse economico oltre a quello di far star bene il paziente. E sono loro che in mezzo allo schifo che la società è diventata, dove competenza e capacità non contano più ma conta solo sapersi vendere, ti gratificano con una battuta, magari in dialetto, uno qualunque tanto noi li capiamo tutti, con sei uova e una bottiglia. A loro dopo tutti questi anni va il mio ringraziamento. Per loro continuo a considerare il mio mestiere il più bello di tutti. Magari non avrai quotidianamente l’adrenalina delle grandi urgenze (ma il nostro l’abbiamo fatto, quando il 118 era ancora solo utopia), non avrai la fama né i soldi dei grandi baroni nè le sfide di tanti chirurghi, però mentre per gli altri i pazienti per lo più vanno e vengono, con noi restano e ci accompagniamo a vicenda nel viaggio. Ed è bello così.”

Un Medico di Famiglia, Vigevano

“Qualche giorno fa, parlando con mia figlia che vorrebbe diventare Medico, mi è capitato di rispondere ad alcune domande sulla mia professione, quella del Medico di Famiglia. Alcuni suoi amici infatti denigravano il ruolo mentre altri lo difendevano lamentando però la scarsa tecnologia diagnostica a disposizione. Negli stessi giorni mi è capitato poi di leggere, con tristezza, che solo il 62% di chi stava tentando di superare il test per l’ammissione a medicina, lo faceva per la passione verso la materia mentre il 25% lo faceva per il reddito o la posizione. Ovviamente tutto questo insieme di affermazioni mi ha molto colpito: il segnale che giunge, almeno a me che ormai ho 25 anni di professione alle spalle, è la perdita della visione del Medico con le sue capacità cliniche, di diagnosi, di ragionamento. La bellezza di cogliere un sintomo, evidenziare un segno e correlarli in una ipotesi diagnostica che soltanto in una seconda fase può essere sostenuta da esami strumentali, possibilmente mirati e non come spesso accade di vedere, tratti pari pari dai testi di studio, senza alcuna interpretazione, come se richiesti da tanti polli in batteria. Forse abbiamo trasmesso in modo non corretto ai giovani la nostra passione che stiamo dunque trasformando da arte in mestiere, con i suoi schemi ripetuti, con sempre minor intervento del ragionamento logico. È quindi del tutto ovvio che una figura quale quella del medico di famiglia perda “appeal” presso ragazzi che crescono nel mito di quella che io definisco “medicina da dottor House”. Capisco anche quelli che la denigrano perché, non possiamo nasconderci dietro un dito, molti di noi (forse i genitori di quel 25% di cui sopra?) hanno contribuito a rendere questo un lavoro impiegatizio limitandosi a ricopiare richieste di altri, demandando qualsiasi quesito agli “specialisti”, evitando accuratamente di farsi carico del problema che il paziente avrebbe magari preferito affrontare “assieme”, inducendo proprio nel paziente una irrecuperabile perdita di fiducia nei confronti del medico, con gravissime ripercussioni, talvolta cliniche, di certo di economia di sistema. La burocratizzazione imposta a ogni pratica medica ha contribuito grandemente a trasmettere la sensazione di “impiegatizio” che alcuni assistiti lamentano e, lungi dal permettere risparmi, ha al contrario contribuito ad aumentare la spesa sanitaria avvicinando sempre più il nostro Sistema Sanitario, per decenni fiore all’occhiello riconosciutoci universalmente, al baratro dell’insostenibilità. Esiste però tutta una serie di Medici di Famiglia con un’etica del lavoro che li spinge ad interpretarlo ancora da “clinici”. Sono quelli che si interessano, chiedono, si informano, fanno diagnosi, si confrontano con gli specialisti o ne confutano le conclusioni. Quelli che tentano di indirizzare – e ci riescono quasi sempre grazie al rapporto di fiducia- il paziente verso strutture di loro riferimento, mettendo la faccia sulle prestazioni che vi verranno fornite, quei Medici di Famiglia titolari della cosiddetta visione olistica del paziente che permette loro di ascrivere molti sintomi che altrove sarebbero interpretati in altro modo, alla loro giusta origine, molte volte estranea alla medicina quale spesso viene intesa e più correlata invece al disagio sociale, famigliare, lavorativo. Quei medici che difendono i loro pazienti di fronte alle angherie del sistema, alle inefficienze, alla boria e alla superficialità, alla burocrazia. Quei medici insomma che entrano davvero nel vissuto di ogni famiglia e che di queste famiglie sono il primo riferimento, spesso l’unico di cui si fidino, al di là del fatto di avere o non avere in ambulatorio ecografi, elettrocardiografi, spirometri o altri supporti diagnostici tecnologici. Si fidano perché sanno che l’interesse del vero Medico di Famiglia è sempre verso la salute del paziente, non può essere altrimenti anche perché egli è l’unica figura di tutto il sistema ad avere persino economicamente maggior interesse a far stare bene il paziente che di conseguenza accederà con minor frequenza all’ambulatorio rendendo quindi più digeribile la risibile quota annua. Qualche tempo fa, disilluso dal continuo peggioramento delle condizioni di lavoro con decine e decine di lacci burocratici che rilevano tempo alla diagnosi, all’ascolto, alla cura, ritenni perduta la possibilità di avere gratificazioni in futuro svolgendo l’attività del medico di famiglia e per questo dopo tre generazioni, consigliai i miei figli di studiare pure medicina, se lo avessero voluto, ma di programmare in seguito qualche altra specialità, ritenendo questa appunto ormai soffocata dalla burocrazia oltre che attaccata da più parti dagli interessi economici dei privati. A chi può ancora interessare infatti un medico in grado di bloccare o almeno ridurre le spese improprie correlate alle necessità della medicina difensiva o ancor peggio a quelle legate alla necessità di “creare malattia” per fare business? Siamo seri, in un Paese come il nostro, a nessuno. Avvicinandosi il baratro descritto sopra, però, comincio adesso a pensare che forse l’unica salvezza per il Sistema Sanitario Nazionale possa essere proprio il medico di famiglia. Ecco quindi il senso dell’Associazione che abbiamo creato a Vigevano e Lomellina: sostenere i medici che interpretano la professione nel modo corretto, facendo sì che essi si pongano con la loro opera necessariamente al centro di un sistema che sta cedendo. Facendo sì che altri colleghi meno motivati possano trarre ispirazione e tentare di smettere i panni del burocrate per riappropriarsi del modo più bello e completo di essere medico a 360 gradi. Se riusciremo in tutto questo allora contribuiremo a cambiare la visione della nostra professione ridandole la dignità e il rispetto che merita. Forse così riusciremo a convincere i più giovani a rinunciare al mito del dott. House per pensare invece alla bellezza di un ruolo che, ben affrontato, permette di esplorare ogni campo, ogni aspetto del mestiere più bello.”

“Nella mia attività quotidiana non ho mai negato a chi avesse concluso senza successo tutte le terapie disponibili, di tentare altre strade, non ortodosse, con la sola avvertenza di non finire in bocca ai farabutti di cui quei mondi paralleli pullulano. Ricordo ancora i pazienti che chiedevano,dopo averle provate tutte, di tentare il metodo Di Bella: pur sapendo che era inutile non mi sentivo di togliere loro la speranza. A quel punto non ne vedevo il senso. Così come recentemente mi è accaduto che una paziente ritenesse che io volessi toglierle la speranza quando invece mi stavo solo opponendo al tentativo di edulcorare la realtà che proveniva da altri colleghi rendendo più complessa la gestione del poco tempo che le restava. Ecco perché da giorni mi pongo domande sulla vicenda del neonato inglese a cui viene imposta la sospensione delle terapie di supporto, non essendoci alcuna possibilità di sopravvivenza. E la risposta che mi sono dato è che pur con tutta l’empatia umana possibile ci sono situazioni che vanno oltre. In particolare vanno oltre la mia conoscenza e allora sono giunto alla conclusione che arrogarsi la capacità di confutare decisioni prese da fior di professionisti, gente seria, preparata, gente abituata a fare lavori seri, importanti, vitali, che arrivare a sostituirsi a loro é pura arroganza, povertà mentale, egoismo. Io non giudico. Io conosco i medici e so come lavorano nella stragrande maggioranza dei casi, stretti fra responsabilità, burocrazia, umanità e scelte da fare. Io li conosco e nella mia ignoranza mi affido a loro, con fiducia.”

Un Medico di Famiglia, Vigevano

“È lui, questo lavoro, che quando cominci a pensare di conoscere ti mette davanti a storie di vita, di morte, di amicizia, di amore, che ti mettono alla prova. Sono convinto che è lui che vuole vedere se dentro di te è rimasto qualcosa, o se il tempo e l’esperienza ti hanno scalfito dentro. È lui che ti mette davanti ad uno specchio a chiederti se sei ancora un Uomo o addirittura se lo sei finalmente. Ma io la risposta non ce l’ho e non so nemmeno se ringraziarlo per la domanda, perché forse ne avrei fatto a meno. Ma se così fosse stato, non avrei conosciuto voi due, che avete tirato fuori da tanta gente il meglio che potevano dare. Accorgersi di questo è stata una lezione meravigliosa e indimenticabile, pur nella tragedia che si compiva. E allora buon viaggio V., e grazie per questo tratto assieme. Forse un giorno, alla fine, grazie anche a voi riuscirò a rispondere alla domanda.”

Un Medico di Famiglia, Vigevano

“Ti conosco da anni, da quando un tumore ha interrotto i tuoi sogni, la tua vita professionale ed affettiva. Ma hai lottato e hai superato le cure e le mutilazioni, hai superato la perdita del tuo lavoro, la perdita della stima di te stessa. Ti vedevo spesso, in quel periodo, venire in studio in preda a mille ansie, a mille paure, quasi fosse un rifugio, quasi come se la tua mente cercasse nuove malattie per non ripartire. Invece sei ripartita, dai tuoi figli, dai lavori più umili; sei tornata a vivere e non hai più avuto bisogno di tornare da me, la vita ti aveva ripreso, ti aveva reinserito nei suoi ritmi forsennati e forse talvolta, terapeutici. Oggi infine sei arrivata e avevi un’altra luce negli occhi, anche il tuo corpo era cambiato. Abbiamo parlato e il tuo spirito era tornato ad essere quello giusto, mentre dalle pieghe del discorso emergeva la vera forza autrice di questi cambiamenti: l’amore. L’amore per un uomo, che finalmente è riuscito a superare i tuoi mille scudi, l’amore per i tuoi figli, nonostante i rapporti cambiati con l’età e soprattutto, dietro a tutto ciò, l’amore per te stessa. Bentornata, P.” 

Un Medico di Famiglia, Vigevano.

“Tendinopatia di spalla, problemi di inserimento sociale, entropion, richiesta invalidità, diabete mellito, dolore al giugulo in cardiopatia ischemica cronica, instabilità posturale, discussione aspetti psicologici in Corea di Huntington, epiteliomi basocellulari complicati, iperplasia endometriale da terapia con tamoxifene per carcinoma della mammella, ipoestesia arti superiori, dispnea da sforzo, consulenza medico-legale su parente deceduto in altra città, complicanze da radioterapia in adenocarcinoma prostatico, ascolto e supporto psicologico e medico-legale in caso di stalking, diagnosi e comunicazione di carcinoma della mammella, ipertensione arteriosa con profilo di rischio cardiovascolare elevato, vertigine parossistica posizionale benigna, pratica INPS in caso di licenziamento, tendinite di de Quervain, prelievo campione ungueale per esame micologico, lombalgia, faringite acuta febbrile, vaccinazione antiinfluenzale, infiammazione in sede di agoaspirato mammella, noduli tiroidei di primo riscontro, sindrome depressiva, epigastralgia, ipocortisolismo iatrogeno in Lupus eritematoso sistemico, prescrizione piano terapeutico per diabete mellito, fratture vertebrali lombari, pollachiuria, sindrome vertiginosa in ipertensione arteriosa, addominalgia, nodulo mammario di nuovo riscontro. Molti, leggendo,  penseranno si tratti di un dizionario medico data la grande varietà di temi trattati. Invece  è semplicemente una giornata tipo di un medico di famiglia, l’elenco dei problemi che hanno necessitato di una visita, in una sola giornata, presso un solo ambulatorio, da parte di un solo medico, senza calcolare la miriade di patologie concomitanti, di telefonate e di prescrizioni di farmaci. A volte, chiuso lo studio viene da pensare a quanto impegno occorra ma anche come sia coinvolgente occuparsi di un così ampio ventaglio di problemi, grandi e piccoli, a volte banali, a volte terribili ma sempre importanti per il paziente.”  

Un Medico di Famiglia, Vigevano.

“Visitando una paziente turca, ancora abbastanza giovane, ben integrata che mi raccontava di essere giunta qui per scelta di vita non ho potuto non pensare che in fondo non è la paura dello straniero, è semplicemente la paura della povertà quella che ci annebbia le menti. Non ce la prendiamo mai con chi è pulito, di bell’aspetto, curato. Ci accaniamo contro gli ultimi, quelli che non sanno e che se sanno non possono. Con quelli che ci ricordano di quando gli straccioni eravamo noi o che ci ricordano come le fortune siano fallaci e la povertà sia qui accanto a noi, pronta a coinvolgerci. Il razzismo è questo: pura paura. E noi, invece di combattere la povertà, combattiamo i poveri. Più facile, più semplice, più pulito.”  

Un Medico di Famiglia, Vigevano.

“Qualche giorno fa un mio paziente ha perso improvvisamente la moglie, la compagna di una vita. Oggi è venuto da me, rientravo dalle ferie e lui mi aspettava. Lo studio era strapieno e lui andava avanti e indietro in attesa del suo turno: aveva bisogno del “suo” medico. È entrato, e ancora stralunato mi ha detto:”Dütur, lei lo sa, litigavamo sempre, lei stava da una parte e io dall’altra. Ma io sapevo sempre che lei era là, e adesso non ce la faccio”. Sono quei momenti in cui sai che non puoi cedere alla commozione perché sei un professionista ma sono i momenti in cui ti rendi conto della profondità del nostro lavoro, del suo essere a 360 gradi nel cuore delle famiglie, nel vivere con loro i mille aspetti che vanno al di là dei sintomi, delle terapie e delle prescrizioni e che coinvolgono i sentimenti più profondi delle persone e i momenti più importanti delle loro vite.”

Un Medico di Famiglia, Vigevano

“Uscendo dalla casa di una mia paziente che dopo due anni di malattia probabilmente vivrà l’ultima notte nel suo letto fra i suoi cari, non ho potuto anche se dopo 20 anni di professione, non emozionarmi al pensiero di ciò che in fondo è l’essenza del lavoro del medico di famiglia. La diagnosi, seguire e dar forza al paziente quando le terapie fanno male e paiono inutili, accompagnarlo verso la fine con serenità, dignità e senza sofferenza. Beh, quando questo accade allora ancora mi commuovo ringraziando chi mi ha mostrato la strada, chi ha fatto di me un Medico e ancor di più in questi frangenti lo dico con orgoglio, un Medico di Famiglia.”
Un Medico di Famiglia, Vigevano.